
OTTOeMEZZO!
“FIORI D’ACCIAIO” - Milo-Costantini-Casale al Teatro Impero. Non è un voto ma un lontano sguardo sbiadito nelle nebbie dei ricordi, che non possono più essere “anagraficamente” sempre vivi, dell’onirica “Carla” e poi della “fantasmica Suzy” felliniane, personaggi con cui, Elena Liliana Greco in arte Sandra Milo, ha saputo legare la nostra vita a quella del suo mondo “svampito” per l’eternità.
Ieri sera, invece, “la Sandrona” sembrava che fosse stata colta inaspettatamente in casa sua mentre pelava le patate, talmente tanta era la sua “naturalezza tra le righe” che ci ha accolto quasi assonnata alzandosi dal suo divano più persona che personaggio; Caterina Costantini, perfetta attrice-madre e roboante matrona di mezz’età, consigliera inascoltata nelle questioni vitali da una figlia - che “da lontano” ricordava realmente Julia Roberts - ma amica tutta saggezza” nel parlare, seguitissima, di mestruazioni, corna e liti del vicinato; Rossana Casale, straordinaria voce e, ricordo, ottima musicista, “rigida” accompagnatrice di partner in una danza “burattina” che andava oltre quella coerente età delle donne in scena. Il tutto, in un musical sulla carta (poco riscritto e poco rimusicato da una Casale andata al risparmio). Siamo alle solite! Donne da fotoromanzo, tutte donne di un soggetto americano che tiene cartellone a Broadway dal 1987 con un successo continuo e che può essere soltanto “tutto americano” proprio perchè nato nelle città di provincia americane; in una parruccheria che somiglia alle nostre italiane, siciliane degli anni sessanta, dove la femminilità da fumetto, che ne veniva fuori, è oggi totalmente “scaduta”. Un anacronismo che purtroppo sembra ormai essere lo standard del teatro italiano di un certo tipo; un teatro per soli vecchi. Avete notato che oltre all’odore di naftalina che ammorbava l’aria esalando dalle stantie pellicce, non c’era in giro un sorriso giovane manco a pagarlo oro? Beh, sì, è vero! C’erano due hostess-assistenti, le maschere di una volta che distribuivano poltrone e volantini ma che poi sonnecchiavano assenti durante lo spettacolo. Il teatro ha bisogno di vita e mai più di autoreferenzialità presenzialista: sociale o politica che sia. Portiamo i giovani a teatro, non andiamoci solo noi “maturi”; se no, li ritroveremo sempre in strada spalmati all’interno e fuori dei tanti pub della città, regolarmente ubriachi e a caccia di cazzotti esaltanti il proprio essere poco divino e molto di vino. Ma tornando allo spettacolo, persone e personaggi in scena si appropriavano del loro muliebre ruolo in un ironico disaccordo col mondo dei maschi, tutti tenuti rigorosamente alla larga: chi tanto insensibile da mettere incinta la propria moglie a rischio della sua (di lei) vita; chi mascalzone e ladro dei soldi e delle gioie di un’appena sposata piccola estetista; chi bello e inutile ragazzone tutto muscoli e niente cervello. Unico uomo inattaccato, un morto. L’ex sindaco e marito di una delle amiche del gruppo dove parrucchieria faceva rima con un femminismo ormai deteriore. Pensiamo davvero che la nostra società abbia ancora bisogno di certo spettacolo, di certe donne? L’America provinciale forse ancora sì. Noi non più. Mai. Siamo la culla del Rinascimento e delle arti, ci copiano nel design da sempre, esportiamo i migliori cervelli fisici, chimici, medici in tutto il mondo. Pensiamo davvero che passare dal bianco di un abito da sposa al bianco funereo dei camici d’ospedale, possa ancora essere utile alle scelte di una società che deve assistere inerme, confusa e succube alle atrocità di una mancata, misericordiosa eutanasia che ancora non coglie la sensibilità decisionale di un popolo? (vedi Englaro). Ok! Sì, diciamolo ancora. Tutte superbrave, tutte sprecate, tutte assolutamente insopportabili. Otto e mezzo. Lo spettacolo è terminato. Alle mie spalle uno spettatore stanco si alza prima degli altri e con un ineguagliabile accento marsalese recita: “Amunì và! Arrivedecci!? Fojssi…
pubblicato su marsalace.it - Marzo 2009