
Le Taddrarite volano a stormo.
Fondamento dinamico della “Legge di Attrazione” è la ripercussione, dei fatti che accadono, perché sono già “fatti“, sui singoli soggetti umani: Esseri umani, donne e uomini, che lasciano il potere del proprio sentire nelle mani di un Ego controllore che, ad ogni passo, suggerisce l’idea: “in fondo, stai bene così come stai, l’amore che hai voluto è questo, lo hai attratto così com’è.”
– Lui era bello, correvi veloce con lui sulla sua moto tanto che: “Puru i ficurinia si giravano al passaggio della tua felicità“, ma la mamma, lei che sapeva per onniscenza animistica, te lo aveva detto; perché lei era, nella discendenza della conoscenza, e della consapevolezza, l’essere che trasmette, quello che perpetua ogni esperienza. I padri sono assenti, si sà. I padri sono fuchi, si sà. I padri stanno a guardare ciò che le madri, le donne si trasferiscono l’un l’altra, con anche solo gli sguardi, per perpetuare lo stato di sofferenza che è effimero benessere nella tradizione malefica; uno stato delle cose che è malessere e ferita dell’anima che sà, ma non vuole riconoscere. Qui sta il tema: nel “matriarcato” che sopperisce con atteggiamento addomesticante a ciò che vuole cambiare senza conoscerne i mezzi, un mascolinismo violento confuso con un “patriarcato” dominante. La violenza la attrai finché non sovverti l’eredità dello Spirito materno. Sei tu, donna, che hai il potere, sono le madri che ereditano e ritrasmettono, sono le madri che soffrono, sono le madri che accusano, il fuori da Sé, nella volontà oscura e impietosa di non volersi accorgere. Sono le madri che hanno educato figlie e figli, in casa, anche e sopratutto i maschi. Ai padri, la responsabilità dell’assenza, alle madri quella della presenza non cosciente. Madri che hanno avuto, nei secoli, l’opportunità di cambiare questo mondo e non lo hanno mai fatto per accondiscendere alla tradizione di remissiva presenza all’interno delle loro famiglie. Padri, per i quali è sempre riuscito troppo comodo non occuparsi di tali compiti per giustificare l’insana posizione dominatrice. Fin quando la ribellione dello Spirito femmineo non sfoci nell’omicidio pasticcero, scorretta violenza contro violenza, e risoluzione di uno stato temporaneo e limitato ai soli titolari di quella specifica sofferenza, senza programmare il cambiamento comune e planetario. Un atto insipiente e inconscio di ricaduta nel dolore e nella colpa di essere donne. Proprio come prendere un’analgesico contro il mal di testa, che passa passa, ma ritornerà, se non per loro, per altri, per altre famiglie, per altre donne, per altre figlie. E i figli? A loro il destino di una sofferenza di ruolo, di genere; una colpevolezza giustificatrice dell’impotenza degli Spiriti materni e dell’incoscienza di quelli paterni. Ma…nella buia caverna dello Spirito; nella sofferenza di un dolore che prima di essere fisico è della mente bugiarda, c’eravamo anche noi, ieri sera, al “Teatro Sollima” di Marsala: “Gli uomini“, quelli per bene. Tutti colpevoli. Tutti accomunati in una mistificante bugia dell’Ego, attraverso la violenza perpetrata da secoli, dalle caverne preistoriche, quando la clava era la legge de: “O la và o la spacca” di Fred Fintstone. Io non sono colpevole. Io, come milioni di altri uomini per bene che stavano seduti con me nel palchetto di fondo del Sollima, ieri sera. Attenzione! Che non venga letta, questa mia, come posizione maschilista. Sono in prima fila a denunciare. Alle madri, ai moderni padri educatori, anch’essi, per intervenuta emancipazione e trasformazione sociale, quello di educare i figli maschi, ma anche le femmine, nel rispetto delle diversità, Tutte. Non più solo denunce, ma fatti di cambiamento. Fatti, fatti di volontà, dove la colpa diviene sentimento di comunione, dove il peccato di violenza non sia più visto solo come tale, ma come sofferenza allargata, perché anche l’uomo soffre nel non sapere, nel non capire se stesso, nel momento stesso in cui viola la corretta convivenza. “Così come il cacciatore nell’atto stesso in cui preme il dito sul grilletto del proprio fucile, sa già che col cervo muore una parte del suo sé incosciente“.
Spettacolo entusiasmante: drammatico, ironico, a tratti comico, di una comicità amara e malinconica. Scrittura drammaturgica di notevole precisione. Soluzioni sceniche da Teatro (T) professionistico di livello superiore. Luci parlanti. Recitazioni impeccabili per Rosa: drammatico-cattolica perbenista emozionata ed emozionante; Maria: un peperino ribelle, “oggetto scenico” penetrante e memorabile; Franca: l’equilibrio funambolico tra il desiderio d’amore e la negazione dello stesso. Uno spettacolo magnifico con leggeri, veniali, voluti, e dunque ineccepibili, squilibri di ruolo. Luana, Claudia e Anna Clara, Attrici. Attrici che meritano il successo che hanno avuto e che avranno certamente anche negli Stati Uniti dove andranno il prossimo anno con questa piece disambigua e ancora modificabile, migliorabile, ché tutto lo è, con, mi auguro, sopravvenuta, nuova coscienza fuori dai generi convenzionali. E sono già loro ed esse stesse “successo”, donne e personaggi. Sono nate, sono accadute, sono successe, in questo mondo che le vede donne e femmine, un giorno madri di altre femmine e donne, di altri maschi e “uomini”. Se lo vorranno, una per una, come Esseri e come finzione. Perché anche le Taddrarite, così come le aquile, possano mai più volare a stormo.